STRAGE DI BOLOGNA, INGIUSTIZIA PERFETTA

03.05.2013 21:21

 

Ho fatto un sogno, meglio catalogabile tra i meandri della storia. La mia mente vagava negli anni e si è fermata al 1980. Agosto 1980. Il calendario appeso di fronte al letto segnava i giorni, i mesi di quell'anno. Ero felice, di lì a poco avrei rivisto mia figlia, un diretto Basilea-Bologna era previsto in arrivo per le 12.

Dopo aver fatto la barba e la doccia ero uscito di casa: comprare il giornale era un piacevole istinto naturale, fin dall'adolescenza. Erano le 10:17. Avevo percorso i pochi metri che mi separavano dal giornalaio con fatica, l'aria quel giorno era secca,umida, toglieva il respiro. "Gianni, è rimasta Repubblica?", quel giornale era uscito da pochi anni, ma già mi ci ero affezionato.

L'edicolante cercava l'ultimo numero rimasto, ma all'improvviso udimmo uno scoppio, pensammo ad un forte scontro, ad un incidente. Vedemmo del fumo e il cielo azzurro colorarsi di grigio, come certe giornate di primavera. Pochi istanti e sentimmo grida, urla, sirene.

Mi allontanai senza neanche prendere il giornale. Seguivo il fumo come un viandante. Vidi il disastro. La stazione in fiamme e la desolazione, macerie per terra, corpi e un autobus fermo. La mia mente vagava senza sosta. L'autobus 37 fu adibito a carro funebre, caricava i morti, destinazione obitorio. Si pensò ad un'esplosione agli impianti della stazione, ad un treno vecchio, ad una caldaia.

Ricordo con commozione il corpo di quella studentessa per terra, in mano stretto il manuale di diritto penale, in tasca un biglietto per Lecce ed il libretto universitario, l'ultimo esame era datato 31 luglio, Diritto Penale, un trenta sudato, desiderato. Ora giaceva lì, senza vita. La immaginai mentre nei giorni passati era alle prese con principi e discipline di reati. La immaginai felice per quel trenta. Vidi la paura avvolgere Bologna, come un telo troppo corto.

I primi passi giudiziari rivelarono che nessuna caldaia era esplosa, ma che un ordigno era stato posizionato volontariamente. Pensai a mia figlia in corsa verso quella stazione. Pensai al destino e alle coincidenze. Se avesse preso il treno di qualche ora prima! Un brivido mi scosse l'anima. La mia mente vagava negli anni e il dolore la appesantiva. Si riconobbero quali colpevoli tre appartenenti al terrorismo nero.

La mia mente vaga e rispolvera le sentenze di condanna, due condanne all'ergastolo e una condanna a trenta anni. La mia mente non si fida e va a fondo. Il dubbio analizza i fatti e le parole di quei giorni, ma il segreto e il potere celano la verità. Penso ai morti, 85, ai morti rimasti in vita, ai parenti, ai familiari, agli amici. Penso alle speranze e ai sogni morti quel giorno. Alle giovani vite distrutte dall'ideologia e da interessi sottesi. Un rumore incessante mi sveglia.

L'odore del caffè del bar sotto casa mi penetra come fiori di pesco. Scendo e vedo un bus parcheggiato nel piazzale, vedo l'orologio che segna le 10.25, poi entro nel bar. Ordino il mio caffè e mi volto, ad un tavolino, seduti, se ne stanno i colpevoli. Come sfidare la dignità umana. Sconvolto esco dal bar. Mi informo.

Leggo l'articolo 27 comma 3 della Costituzione "le pene devono tendere alla rieducazione del condannato" e dunque alla risocializzazione. Mi trovo d'accordo, ma bisogna operare un distinguo. E' possibile che anche per una strage possa essere valido? Come è possibile che anche chi è condannato a più ergastoli possa godere dei benefici previsti nel codice? Come è possibile calpestare la vita in questo modo? La mia mente pensa ai segreti di stato e il dubbio aleggia, permane. Bologna derisa in nome di logiche di potere.

Il diritto è malleabile e io sono solo un umile artigiano della parola. Non capisco. Penso a quella studentessa morta credendo nel diritto e nella giustizia. Penso a questa giustizia in cui la dignità e la vita non trovano il giusto posto sulla bilancia. Rivedo il cielo di quel sabato d'agosto, quel libro per terra fermo sulla parola strage. Entro in stazione e mi fermo davanti alla lapide posta nella sala d'attesa di seconda classe, leggo "Vittime del terrorismo fascista" e in testa ritornano le parole di quel Capo di Stato "non capisco perchè ci sia la parola fascista".

Penso e con un pennarello vorrei scrivere un altro aggettivo, accanto a quello già presente. Se fosse ancora in vita, a quel Presidente gli chiederei "Se non sono stati i fascisti, chi è stato?". Certe domande non hanno risposta, non conoscono verità. Servono solo a fomentare la rabbia di chi quel giorno ha perso un figlio, una madre, un padre, un parente. Servono solo a fomentare la desolazione di chi quel giorno ha perso la vita ed un sogno da coltivare.

Gz