TSUNAMI

19.05.2013 20:22
Cielo azzurro, velato appena. Un sole che si diverte come un bimbo, gioca a nascondino, illumina le strade semideserte, strade di foglie secche, di petali di rose, qualche cicca di sigaretta. Odor tenue di tulipani. Occhi stanchi, anziani in attesa dell'ora di pranzo o semplicemente del minuto ventuno, ventuno come il peso dell'anima in grammi. Melodia leggera di piano. Sale come un pianto improvviso disteso tra i capillari, attraversa le guance come rugiada. L'aria profuma di pioggia, illumina le idee, come a ravvivarle con sogni di viaggi e paesaggi d'oltralpe. Passa il treno dei ricordi. Cade un petalo di rosa, dimenticato sul davanzale di quel vecchio rudere in legno. La terra è umida di saliva e sudore. Jack è al posto 55, occhi incollati al finestrino. Non si è accorto dell'uomo in divisa, con dei baffi curati ma storti, che gli è a fianco. Perso tra le note di quel testo composto al mare, tra una sigaretta e una birra, perso tra un sogno di fuggire e voltare pagina, lasciarsi alle spalle le ansie e prendersi il suo destino tra le mani. Lo sognava spesso la notte, mentre aveva ancora gli occhi gonfi per i pianti quotidiani e la bocca amara per quel sigaro fumato in fretta. Voleva essere una foglia in volo, colta da un vento beffardo, per avere la spinta. Voleva essere la nota di una canzone che viaggia per le radio, il vagone di quel treno, il ticchettio del suo orologio, lento ma deciso. Voleva essere tutto tranne ciò che era. Si perdeva tra i suoi pensieri come in un labirinto mitologico, labirinto di incertezze e giorni andati, in cerca di un fazzoletto per terra, un pennarello arancione con il quale incidere la sua rabbia. Era un represso dai sogni altrui. Odiava la mondanità forse perchè gli sembrava tutto così inutile, banale, lontano dal suo caos interiore. "Signore il biglietto!". Jack le cuffie nelle orecchie, poesia triste ad accompagnare il suo ritorno a casa. Ogni chilometro un avanzo di tristezza, un cedere dei sogni, uno scorrere di autostima, un lento morire su quei libri inanimati, reduce di se stesso, reduce della incomprensione, reduce di un desiderio barattato con la noia. In testa un luogo, un sentiero di civiltà. L'odore soave della Città, madre di etnie e fervori intellettuali. Una casa lasciata come un naufrago, Ulisse nella quotidianità, Ulisse e la sua Itaca nel cuore. "Signore il biglietto!". Il controllore era sempre lì, ad aspettare un cenno, il suo baffo storto raddrizzato dalla smorfia di dissenso. Sembra un padre che non capisce l'umore del figlio, sempre perso tra i propri impegni. Eccolo il controllore del treno, come un padre della vita di un figlio, controllore di sogni troppo veri e troppo dell'anima per essere compresi. Jack e quei libri dimenticati in soffitta, tra ragni che passeggiano e polvere che si accumula. Jack si volta, si toglie le cuffie. "E' da 10 minuti che sono qui, ce l'ha il biglietto?". Il volto del controllore è scuro e abbastanza serio. La voce dura, come rimprovero per un cane. Gli avrebbe voluto chiedere scusa, ma non ce l'ha fatta. Certe persone sono troppo perse in se stesse per comprendere gli altri, basterebbe uno sguardo, vedere la solitudine, l'infelicità che sostituisce la vita, la noia e l'insoddisfazione compagne di viaggio. Basterebbe chiedere come va, basterebbe osservare le ore giornaliere, carpire i testi delle canzoni che accompagnano gli istanti. Basterebbe ascoltare. Passano veloci le vite come le ore quotidiane. Certe persone sono ubriache dei loro problemi per fermarsi a capire gli altri. Jack prende il biglietto e tace. Lo mostra passivamente, come chi sopravvive a se stesso nel buio del giorno. Il controllore fora il biglietto e va via. Non dice nulla. Tra poche fermate lo aspetta la sua città, ci vive da anni o meglio così dicono. Chi lo conosce sa da sempre il suo desiderio: scappare in cerca di se stesso, un se stesso appena assaporato tra le stradine di ciottoli vari, tra gli odori di salumi e di etnie, tra le mura di cultura e storia. Lo conosce il mendicante per strada che svela la sua tristezza, il giornalaio che lo rimprovera per il suo colorito pallido, un vecchio con il cane che dopo averlo ascoltato gli dice "Non perdere i tuoi sogni, ho visto la luce nei tuoi occhi.". Lo conosce il vicino di casa che lo sente parlare al telefono. Un giovane privo d'ali, relegato in un vicolo cieco con la benda agli occhi e una mano sulla bocca. Perso tra l'incomprensione familiare come un cane emarginato, un bruco morto prematuro, una farfalla stroncata dal vento umido d'estate. Perso in se stesso per non annegare. Perso tra i libri ed una voce lontana, ma sempre presente. Pagine sfogliate come una rivista dal dottore. Finito il tempo delle analisi, forse Jack attendeva quello dell'analisi. Un tumulto interiore, marea pronta ad esplodere, uno tsunami frenato troppo a lungo.